mercoledì 27 febbraio 2019

Quando la Street Art racconta i "femminielli" di Napoli

Quando la Street Art racconta i "femminielli" di Napoli http://www.salernonews24.com/attualita/quando-la-street-art-racconta-i-femminielli-di-napoli/ Vandalizzato. -di Claudia Izzo-

E' stato vandalizzato ben due volte  il murale dello street artist Vittorio Valiante, realizzato nei vicoli di Montecalvario, a via Concezione, sulla parete esterna del Palazzetto Urban, a Napoli.

L'opera rappresenta un omaggio  ad una delle figure simbolo dei Quartieri Spagnoli, " La Tarantina", lo storico "femminiello dei Quartieri", arrivato a Napoli nel 1947 a soli 12 anni.

Il viso è stato annerito e vi è stata aggiunta  la scritta "Non è Napoli". Così lo street artist è stato costretto ad apporre uno stencil che riproduceva il viso de "La Tarantina". Niente da fare, lo stencil è stato strappato. Ma la popolazione e gli esponenti delle Istituzioni si sono discostati da questi gesti di omofobia ed intolleranza perché nessuna città più di Napoli accoglie i suoi figli, come una tenera madre.

L'opera , infatti, aveva avuto la sua inaugurazione essendo un'espressione dell'integrazione sociale tra la popolazione "trans", anticamente conosciuta come "femminielli", e gli altri cittadini dell'ammaliante città di Partenope.

La figura del "femminiello", tra spiritualità pagana e saggezza popolare ha origini antichissime ed il termine stesso nasce per indicarne le caratteristiche, "un uomo con movenze ed atteggiamenti marcatamente femminili",  per darne una identità . E' ne "La pelle" che Curzio Malaparte descrive i rito della "figliata", e nulla è più mistero. Sarà Peppe Barra ad aprire  il film "Napoli Velata" di Ozpetek, proprio con la "figliata dei femminielli", sembrata a molti una invenzione del regista. Eppure questa è una storia che da secoli vive al di là dei  giudizi e dei  pregiudizi.

Da Napoli alla provincia di Avellino, il passo è breve.  Qui, sui monti del Partenio sorgeva un luogo di culto dedicato alla Dea Cibele e una leggenda del XIII secolo narra che fu proprio la Madonna di Montevergine ad intervenire con dei raggi di sole salvando due amanti omosessuali  legati ad un albero e destinati a morire di freddo e fame, sbranati dagli animali selvatici. Da allora la tradizione vuole che i "femminielli" si rechino in processione per chiedere la benedizione della Madonna di Montevergine, detta "Mamma Schiavona che tutto concede e tutto perdona" . Dopo, il via alla festa profana, tra canti , danze e "tammurriate".

Una dualità, dunque, quella dei "femminielli",  un fitto  intreccio tra maschile e femminile, tra trasgressione, colore e malinconia che da secoli racconta verità spesso "velate".

 

 


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Qui, a Napoli, la "figliata" sopravvive grazie a una "memoria del rito" , che ha permesso al rito di conservarsi negli aspetti rituali differenziandosi, però, nel tempo nelle valenze culturali e di significato ma non disperdendo il valore originario e sacrale del femminino .

Parte integrante del tessuto sociale partenopeo, il femminiello è stato anche al riparo dalla umiliazione dei ghetti e dalla violenza delle inquisizioni morali e normative.

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Le leggi dei Borbone condannavano reati sessuali di ogni tipo, stupro, sevizie, pedofilia, oltraggio al pudore ma non c'era nessun riferimento all'omosessualità considerato, invece, un crimine dai Savoia con pene che potevano arrivare fino ai lavori forzati a vita.

Al momento, però, dell'Unità d'Italia il codice penale del Regno di Sardegna viene esteso al resto del Paese con l'eccezione nei territori del sud dell'articolo "Dei reati contro il buon costume" creando di fatto un doppio regime e permettendo implicitamente a Napoli ciò che altrove era vietato.

Anche in epoca moderna scrittori, artisti, studiosi si sono soffermati sul femminiello e il suo mondo, da Curzio Malaparte a Roberto De Simone, Pino Daniele a Lombardi Satriani, solo per citarne alcuni.

Nel giorno della Candelora, il 2 febbraio, ogni anno si tiene il pellegrinaggio noto come la processione della Candelora o anche detta la "juta dei femminielli" legato al culto della Madonna di Montevergine chiamata anche "Mamma Schiavona", sui monti del Partenio in provincia di Avellino, dove sorgeva un luogo di culto dedicato alla Dea Cibele.

Un pellegrinaggio che si collega a un leggenda risalente al XIII secolo secondo la quale Maria intervenne per salvare due amanti omosessuali che furono legati ad un albero sul monte a morire di freddo, fame e sbranati dagli animali selvatici. In loro aiuto intervenne la Madonna di Montevergine, posando su di loro dei raggi sole, che li salvò dal freddo e dalla lastre di ghiaccio in cui erano imprigionati.

Da allora i femminielli si recano in pellegrinaggio per chiedere la benedizione di "Mamma Schiavona che tutto concede e tutto perdona". Dopo di che partecipano alla parte profana della festa, ovvero alle tammurriate, ai canti e alle danze. E ripetere come un mantra "Non c'è uomo che non sia femmina e non c'è femmina che non sia uomo".

I femminielli, la covata o figliata, la juta a Montevergine, i buoni auspici sono tutti fenomeni che ancora si prestano a interpretazioni diverse, spesso soggettive, che mischiano stratificazioni storiche, culturali, sociali di una città nel cuore del Mediterraneo, di un città di frontiera sempre al limite tra impeti futuristici e stratificazioni arcaiche, baricentrica nella sua mediazione tra tradizione e innovazione.

E come dice Peppe Barra in Napoli Velata:
"Eppure io non ho mai potuto trovare filosofo o scienziato che mi sapesse svelare questo mistero! E alla base di questo mistero che ci sta? Un uomo e una donna..."



 

 

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